La “divulgazione scientifica” serve a spiegare ai cittadini le motivazioni scientifiche delle scelte politiche che ad essi vengono imposte, in modo che essi possano meglio accettarle. Ovviamente questo genere di divulgazione si discosta ampiamente dalla correttezza a cui tende la scienza, poiché ha come oggetto la costruzione di un’opinione per fini non imparziali, cioè per influenzare l’opinione pubblica in una direzione prestabilita. Il ruolo sociale che svolge attualmente questa “divulgazione scientifica” è quasi indispensabile al potere politico per giustificare presso la popolazione scelte altrimenti incomprensibili ai cittadini come quella –negli esempi attuali- di obbligare ad un trattamento sanitario preventivo tutti i minori, o quella di osteggiare e mantenere strettamente minoritaria una Medicina di grande rilevanza come quella omeopatica.
La “divulgazione scientifica” è costruita secondo le tecniche della comunicazione pubblicitaria, con slogan semplici e d’effetto che possano essere recepiti senza suscitare domande da tutti gli strati culturali della popolazione. Essa sta alla scienza come la pubblicità sta alla verità: può essere utile ma è intellettualmente disonesta, soprattutto perché diseducativa. Una divulgazione scientifica che, al contrario, mirasse alla correttezza, dovrebbe aiutare la gente a porsi delle domande sensate ed a cercare da sola delle risposte convincenti.
Dietro una “divulgazione scientifica” efficace c’è un lavoro poderoso, come dietro ogni propaganda istituzionale ben organizzata, che svela l’azione di una rete coerente di mass media (e giornalisti), un reclutamento sistematico di vertici istituzionali (e opinion leader), il coinvolgimento della politica (e di politici), la presenza di interessi (spesso privati oltreché pubblici). La regìa della propaganda, in un Paese dichiaratamente democratico, si vuole più possibile “spontanea” e come emergente per evidenza sua propria, spesso in riferimento a fatti e notizie contingenti. Ogni attore in gioco deve apparire, cioè, “indipendente”, non coinvolto, perfettamente informato ed affidabile nell’espressione di affermazioni che dovranno essere percepite come “verità scientifiche”. Dev’essere sempre esclusa una regia nascosta di coordinamento, poiché svelerebbe un condizionamento della cosa pubblica inaccettabile (anche se tale regia –da un punto di vista sociologico- resta sovente l’ipotesi più adeguata a spiegare tempi, modi e sinergie nell’utilizzo dei contenuti).
In termini generali, una rete di controllo della comunicazione pubblica come quella descritta non è per niente “nascosta”, costituisce anzi uno dei portanti di un regime sociale, politico e (fondamentalmente) economico. Ciò che risulta caratteristico degli ultimi decenni storici, è il ruolo che la “divulgazione scientifica” gioca in riferimento al controllo sociale. Se essa è ben orchestrata, infatti, ha un ruolo eccezionale nell’accettazione delle credenze regolatorie del mercato e nel realizzare una omogenizzazione sociale su obbiettivi prestabiliti.
Il risultato di una “divulgazione scientifica” mal fatta, invece, svela incongruenze con la realtà. Tende allora a crearsi, nell’opinione pubblica, un doppio schieramento di opinioni, con evidente disagio sociale. In tal caso, occorreranno ulteriori correttori mediali per mettere a tacere le minoranze dissenzienti.
Una “divulgazione scientifica” mal fatta, però, finalmente aiuta la gente a porsi delle domande e la spinge alla consapevolezza personale.